Non più solo per nobili, ma certo non per tutti
Col passare dei decenni, i collegamenti tra Vecchio e Nuovo mondo si facevano via via meno avventurosi, così anche il commercio con quelle lontane terre si faceva più scuro e i beni prima considerati un lusso assoluto arrivavano abbastanza facilmente anche nelle dispense della piccola nobiltà o addirittura della alta borghesia.
Abbiamo alcune testimonianze scritte, ed oggi vorrei presentarvene una in particolare.
Troverete questo libro interamente digitalizzato a questo link.
La copia cartacea è custodita nella Biblioteca Civica di Trento, dove è pervenuta dalla biblioteca della famiglia Bortolazzi.
Questa famiglia, divenuta nobile a partire dal ceto mercantile nel corso del 1600, al tempo della stesura di questi libri, ovvero il 1773, era a tutti gli effetti una delle casate più importanti della città tridentina dove ancora per poco, fino al 1803, risiederà il Principe-Vescovo.
Ed ancora in quell’epoca, come in principio, la famiglia si occupava di commercio in particolare della seta, ma anche di manifattura avendo filande ed altre attività produttive.
Quando il nostro cuoco-scrittore lavorava per questa famiglia, erano in vita il terz’ultimo e il penultimo dei Conti Bortolazzi; purtroppo questa casata si estinse con la morte prematura dell’ultimo erede (maschio) a soli 29 anni.
Di qui il passaggio della voluminosa biblioteca (il penultimo esponente era un grande lettore, uno tra coloro che ebbero la dispensa papale per leggere i libri all’Indice!) a diverse altre raccolte, ed infine alcune opere arrivarono alla Biblioteca Civica di Trento, cosa di cui siamo grati altrimenti non avremmo mai potuto sfogliare queste pagine di storia.
Una nota piccante…?
La sorella di quest’ultimo studioso, Giovanna Gioseffa, nata nel 1771, è stata immortalata così, da un tal mons. Weber:
“[di lei si dice che] si abbandonasse agli spassi più che non convenisse ad una donzella di nobile famiglia. Si racconta che dopo aver assistito alle rappresentazioni del teatro in città, sola e in abito virile e armata di pistole, fosse solita cavalcare di mezzanotte fino a Vattaro.
Altro fatto interessante: uno dei passaggi di proprietà dei beni della famiglia fu per i Fogazzaro. Esattamente, parenti del famoso Antonio Fogazzaro (quello del “Pccolo Mondo Antico”).
Tornando al libro
Scrive, nelle prime pagine del primo volume, il nostro cuoco moderno:
La cucina è un’arte, come tutte l’altre, la quale ha le sue regole, i suoi principii, e se la pratica uniti alla teoria insegna, quella unione è quella che conduce alla perfezione, e l’una, e l’altra s’imparano egualmente per mezzo della lettura dei libri.
Io non potrei essere più d’accordo. Ecco, magari lo direi in modo più sintetico ma il sugo resterebbe lo stesso: studiare, sperimentare, imparare!
Nel terzo volume, invece, che è quello che a noi interessa dal momento che è in questo che parla della preparazione dei dolci tipici di quel tempo, troviamo una piccola nota autobiografica:
“Il mio padrone dimandandomi un giorno chi era stato l maestro che mi aveva insegnato a cucinare, ed avendogli risposto che era stato un libro d’un bravissimo cuoco che aveva servito il Maresciallo di Sassonia, e che facendo le preparazioni che io vi avevo osservate, le avevo eseguite mutandole su quelle tracce a mio gusto e fantasia; soggiunse egli allora “Un così bravo Generale era ben dovere che avesse ancora un bravo Uffiziale in cucina”.
Il “Maresciallo di Sassonia”, che sia lui. Magari ve lo stavate chiedendo e magari anche voi partirete in un tour storico da link a link fino a ricostruire un mosaico mozzafiato del momento incredibile che stava vivendo l’intera Europa, lì al bordo estremo della Rivoluzione.
Ma nel mentre, un cuoco volenteroso di una famiglia nobiliare di una città orai in secondo piano (dai, non raccontiamocela, i tempi del “Concilio di Trento” erano passati da un bel pezzo e a nessuno fregava molto di quella piccola città di confine), scriveva in modo puntiglioso i metodi per fare le composte di frutta, le cialde, il rosolio e… il cioccolato!
Veniamo quindi al dunque
Pagina 213 e seguenti, se volete leggere sull’originale:
Della cioccolata.
La cioccolata è una mescolanza di droghe di cui si fa una pasta secca d’un gusto assai piacevole.
La base della composizione della cioccolata è il caccao di Caraccas, al quale vi si aggiungono alcuni aromati. Ecco quì la maniera di comporla.
Voi pigliate il più grosso, e il miglior caccao che tosterete in una teglia sul fuoco agitandolo sempre fino a tanto che si separi dalla sua scorza, di poi voi lo pesterete, e lo metterete nuovamente a tostare nella teglia a fuoco lento fino a tanto che sia ben secco senza esser però bruciato.
Fatto questo, pestatelo di nuovo quando è caldo in un mortaio, il di cui fondo sia caldo, essendo pesto, e ridotto in pasta, mettetene due libbre sulla pierra con una libbra e mezzo di zucchero ben fine mescolatelo bene insieme affinché si incorpori; voi vi metterete, volendo un poca di Vaniglia e una mezza dramma di cannella, alcuni vi mescolano ancora dell’ambra grigia, e del mustio, ma tanto poco che niente; quando la mescolanza di tutti questi ingredienti e ben insinuata nel caccao, si leva e si mette nelle forme, e si fa seccare.Scelta che si deve fare della cioccolata.
Quando si compra la cioccolata deve scegliersi, che sia fatta di fresco, assai pesante, dura, e secca, di color bruno rosseggiante d’un grato odore, e d’un buonissimo gusto.Buoni, e cattivi effetti della cioccolata.
La cioccolata nutrisce molto, è fortificante, ristora, aiuta alla digestione, addolcisce gli umori acri che cadono sul petto, abbassa i fumi del vino, e resiste alla malignità degli umori.
Quando se ne fa eccessivamente uso riscalda considerevolmente, e impedisce ad alcuni il sonno; è buona ai vecchi, alle persone d’un temperamento freddo, e flemmatico, e cagiona a quelli che digeriscono con difficoltà della debolezza, e della inquietudine al loro stomaco; ma dovrebbero astenersi dal prenderla i giovani, i di cui umori sono in moto, o pure usarla con sobrietà
Spero vi siate svagati un poco, alla prossima!
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